Crediamo sia la prima volta che Anna Magnani e Gino Cervi si ritrovano interpreti dello stesso film. E può darsi che da questo incontro nasca una coppia da lasciar memoria di sé. Se non altro per il contrasto che c’è tra loro e che potrebbe tradursi, regista e racconto aiutando, in un tutto perfettamente armonico. Cervi è, infatti, attore specialmente di calcolo e la Magnani attrice quasi esclusivamente d’istinto. Ci par di ricordare che una volta Pierre Brisson, critico francese dei più acuti e preparati, divise gli attori del suo paese in « diderottiens » e «rejanistes ». Se una così netta e scolastica divisione potesse esser valida anche per i nostri attori la cui generazione è, in genere, molto più avventurosa e irregolare di quella degli attori francesi, nessuno esiterebbe a porre Cervi fra i « diderottiens » e la Magnani fra i « rejanistes ». Vedete come anche le strade che hanno percorso sono diverse e lontane l’una dall’altra e come è diversa la loro formazione, il « milieu », l’ambiente da cui uscirono. Cervi viene da una famiglia borghese dell’Emilia. Suo padre fu critico drammatico di valore. I più vecchi si ricordano ancora delle sue cronache firmate « Acer » sul « Resto del Carlino ». Bologna era allora un centro teatrale di prim’ordine, le compagnie drammatiche vi facevano lunghe soste, il pubblico dell’Arena del Sole era esigente e severo ma di gusto quasi infallibile, e molti attori ebbero da esso il battesimo della fama.
Cervi maturò, in quell’ambiente propizio, la sua vocazione, e fu subito attore di eccezionale equilibrio in cui il dono nativo era temperato ed affinato da un perfetto controllo dei mezzi espressivi. Chi lo ricorda giovane, appena agli inizi, non troverà molto stacco tra l’attore di oggi e quello di allora. Certo la maturità ha portato anche a Cervi i suoi splendidi frutti ma quanto e più propriamente attinente all’arte drammatica, voce, dizione, eleganza del gesto, rispondenza fra questo e il sentimento che lo detta, Cervi se lo era già conquistato negli anni del suo felice noviziato. Nella compagnia di Pirandello, che fu il suo banco di prova, un po’ tutti, i primi giorni, si trovarono spaesati. Cervi no. Cervi si adattò subito a quelle battute rotte, a quel parlare quasi contorto che teneva molto del dialetto, a quel dire faticoso e affannoso come di chi cerca, nel profondo di se stesso, la parola appropriata, calda ancora di sangue. Pirandello guardava il giovane attore e scuoteva appena la testa, tormentandosi la barbetta caprigna. Gli occhi gli ridevano, felici… Così nel cinema: Cervi fu subito attore provetto come se non avesse fatto altro in vita sua che recitare davanti alla macchina da presa. Qui lo aiutarono, è vero, il fisico cordiale e insieme prestante, la naturale disposizione a dar rilievo a un carattere, la simpatia del volto. Ma, insomma, i risultati furono, in un certo senso, straordinari. E basta ricordare il Salvator Rosa dove Cervi mise tanto della sua scanzonata baldanza, tanto di quella ridente bonomia che è come un segno di nobiltà e di saggezza del popolo emiliano, per farne un personaggio di schietta vena italiana. « Tutto facile » potrebbe essere la divisa di Cervi.
La divisa di Anna Magnani è l’opposto. Viene anch’essa dal teatro ma come un’irregolare, per combinazione. Pochi, forse, ricordano i suoi esordi e i suoi primi successi a fianco di Gandusio, in commedie nelle quali ella aveva soprattutto il compito di mostrare le spalle e il resto, di dondolarsi flessuosa sulle gambe nervose.
Sembrava destinata a finire come tante è attrici nel cosiddetto genere comico. Che appena il corpo sfiorisce devono cambiar mestiere.
Da codesta esperienza Anna Magnani trasse invece una sua particolare « vis » comica, fatta di osservazione diretta sulla realtà e di estro un tantino caricaturale e parodistico.
Si è molto parlato della Magnani attrice di «rivista ». Le si è rimproverato spesso l’oscenità del linguaggio, la trivialità dei gesti. Ma questa Magnani, cui va il favore del pubblico grosso, non si esaurisce tutta nel gesto plateale, nella parola oscena, Al di là di codesta cifra c’è in lei un autentico temperamento di attrice e non soltanto comica. I tentativi che ella ha fatto di un’arte più complessa e rigorosa, non si può dire le siano pienamente riusciti. Ma forse la colpa non fu tanto sua quanto dei cattivi consiglieri che le consigliarono o drammi balordi o personaggi inadatti al suo impeto drammatico. Tuttavia è doveroso mettere al suo attivo La foresta pietrificata dove alla ebbe due o tre momenti felicissimi, da grande attrice.
Non paiono pochi, a questi lumi di luna.
E si devono certamente a lei le più forti suggestioni che il cinema italiano ci ha dato in questi ultimi anni: dalla « sciantosa » di Teresa Venerdì alla popolana di Roma, città aperta. Queste sono appena le «nugae » di un’arte che va lentamente maturandosi. Quando di Anna Magnani si parlerà meno come di un personaggio tipico di questa Roma del dopoguerra, con i suoi cani bassotti, il suo cavallo arrembato, il suo vestire acconciarsi alla diavola, quando gli ammiratori del loggione avranno cessato di chiederle la « mossa », vorrà dire che Anna Magnani, perduta quella clamorosa popolarità che un poco le pesa e le nuoce, sarà diventata attrice davvero grande. Il germoglio c’è. Basterà una sfera di sole per farlo fiorire. E sia, noi ce lo auguriamo, domani.
Adolfo Franci, Marzo 1946
(immagine e testo archivio in penombra)