Via del Tritone in una mattinata di piena estate: sull’asfalto della strada che ancora sprigiona la caldura del giorno precedente, passa rapida, fra le altre molte, una bella macchina Fiat, colore spiga d’oro raggiata d’argento. A bordo una donna sola, che ne tiene il volante.
« Isa Miranda — dice un’amica, piacevolmente sorpresa — ora tornata da Parigi dove ha interpretato una grande film: Nina Petrowna ».
Nel pomeriggio ne andiamo alla ricerca.
Una casa discreta, tra ville ricche di alberi e di mura, forse meno ricche di sogno. Il giardino ha due palmi di terra, una siepe, un vialetto inghiaiato, e a vigilarlo il profilo pensoso di una Madonna senese. Non ci si chiede chi sosti di là dal cancello; le curiosità avide, i chiacchericci indiscreti, sono ancora lontane, strambe, inesistenti. È così naturale la quiete, così parco e riposato l’ambiente che certo nessuno, passando, si ferma incuriosito a leggere nome inciso sul muro con lettere snelle: « Isa Miranda ».
Una diva abita qui? Una grande vedetta di questo torbido mondo maltrattato da puristi e da filosofi? Si teme ancora di crederlo… La primitiva fantasia delle masse ha cristallizzato intorno ai suoi idoli una falsa atmosfera di sfrenatezza vestiaristica ed alberghiera, di eccentricità e di orpelli, di egolatria e di cinismo, che funziona ormai da motivo d’obbligo nei ritrovi mondani e nelle cronache affannate. Le categorie sono stabilite, le frontiere tracciate. Evaderne può essere pericoloso.
Prospettive deformate. Stucchevoli droghe da troppo tempo pronte a infradiciare ogni sapore. Perché la stella dello schermo, schietta espressione di questo calunniato 900, non potrà essere se non un fantoccio in posa, una pupa di carne, una bambola infrangibile?
Oggi ho incontrato una diva. Fronte spaziosa sotto le ondate brusche dei capelli d’oro; un fuoco scuro accende a tratti di lampi lo sguardo fermo, parole gravi su dalla mobile bocca: Isa Miranda. Una donna, un’attrice, e sopratutto una creatura umanissima.
Nella sua casa, tanto semplice e chiara, ti viene incontro un’alta figura cordiale, una mano aperta, snodata, per il buongiorno senza infingimenti. Dal vestito, che la modella, scatta e fiorisce la testa viva di intimo fuoco, che scorgo a volte guizzare in impeti rosei sotto le gote. Gli esteti innamorati di perfezione al millimetro e di bellezza ossequiente e beota, forse non amano questo volto energico e inquieto, dove gli zigomi forti, la bocca lunga e sensibile, docile al riso e al pianto, l’occhio oscuro che luce sotto le palpebre, compongono un’artistica disarmonia. La guardo. Nessuna linea che occulti o simuli in questa faccia tesa. Ma molte cose taciute, padroneggiate, vinte. Indovino di colpo che la volontà non è stata l’ultima risorsa che ha fatto salire Isa Miranda da un destino due volte amaro a una gloria due volpe pericolosa.
Se parlate all’attrice della sua fama, risponde scuotendo le spalle. Tuttavia si sente in lei la creatura sicura del suo destino, lieta del suo successo: « Dicono… scrivono… commentano… io lavoro, studio, e non mi curo di nulla! ».
Si attraversa dunque il tumulto soltanto per crearci un’intimità più gelosa? Il silenzio può essere così fecondo, la sobrietà può così arricchire?
Isa racconta con pungente umorismo la meravigliata emozione di quando le giunsero le prime lodi, le prime cronache dei grandi critici. Cinque minuti di ebrezza che il tormento d’arte fa subito dimenticare; poiché Miranda è semplice, ma non della semplicità eccentrica, ostentata per gusto bizzarro, come un cappuccio fratesco sulle spalle di un’etèra; di quell’altra semplicità, invece, spontanea, nostra italiana, che non s’accorge di sé.
— Che cosa mi ha spinta allo schermo? Il destino!
Ma gli occhi intenti che guardano un aspro passato, ma il movimento un poco ribelle della persona, distruggono subito la bugia generosa. Destino o fortuna, Miranda, o non piuttosto volontà e valore? Questa ragazza che alle domande insidiose oppone la calma barriera di chi non sperpera l’Io in parole, ha lottato sempre e duramente. Tra le brevi frasi, scandite con voce sommessa, prende linea e forma la più moderna avventura. A undici anni Isa è la piccinina di una sartoria ambrosiana, l’apprendista vestita di tagli e pagata di niente, che sfarfalla in margine al negozio e alla vetrina, figuretta chiaroscurata in due tocchi d’ombra, svelta a comporre un pacco e a porgere spilli. È povera, sana, volitiva. Una autentica milanese, che dalla sua città ha ereditata la pacata energia, la superba fiducia nella vittoria, la riflessione, l’acutezza, l’ardire. Sino a due anni or sono Isa è vissuta nella sua Milano, in cui conobbe tutto un mondo, in cui « ha» ancora tutto un mondo. Ci voleva questa inflessibile padronanza di sé, questa tenacia, questo buon senso risoluto per superare le strettoie delle annate meschine. Da modellina a scatolaia, da indossatrice a dattilografa; son pochi i « mestieri da fanciulla povera » che Miranda non abbia sperimentato. È stata una delle tante, delle infinite ragazze moderne di nervi e di orgoglio che combattono ignote, e giorno per giorno impongono il loro marchio alla sorte. « Signorina d’ufficio » alacre e sbrigativa, di quelle che non lasciano morire il lavoro aspettando il rabbuffo, come prima s’era istruita alle scuole serali, ora frequenta di straforo un’accademia di recitazione (quella del vecchio Ettore Berti, che oggi ancora Isa Miranda chiama « suo maestro ») e così passa la trafila dei saggi, delle prime prove, dei diplomi. Intanto, gioco inatteso del caso, è la ditta che serra bruscamente le porte: e il lavoro manca quando più urge un guadagno. Ecco allora la puntata in teatro, con due battute da comparsa prima, poi con le particine d’ombra nella compagnia Palmer, infine il debutto. Si dava (coincidenza soltanto, ma significativa per l’ultima interprete, in « fu Mattia Pascal », di Pirandello vivente) « Questa sera si recita a soggetto ». E la stenodattilo di ieri fece « Titina » come aveva fatto « Miss Lucy » leggiadra nell’abito rosa; ma le esigenze di vita incalzavano acute, e la lunga pazienza dei comici troppo spesso si orla di fame.
« Allora pensai di mandare una foto alla Cines. La risposta arrivò… evasiva. Ma io avevo dentro quel martello insopprimibile: « devi riuscire, devi riuscire », e rischiai il gran gioco! Presi il treno per Roma… e dodici volte rifeci il tragitto, io che ero senza impiego e senza mezzi, senza speranza e senza casa… con una pena più grande della miseria, con un volere più forte delle ripulse. Ricordo le occhiate… pietose dei registi, le insistenze, le vaghe promesse, le grandi delusioni, i pianti al ritorno… amarissimi! Per una donna il successo è difficile. Strappai coi denti una particina nel « Caso Haller » e in « Creature della Notte ». Rimpiangevo l’ufficio, la vita ingrata, sicura… Infine mi diedero da interpretare « Tenebre »…
Il racconto fluisce agile, ardente. Si ascolta Miranda con la meraviglia gioconda di scoprire qualcuno che crede ancora al valore del lavoro in questo mondo pigro e convulso. Dopo la « Signora di tutti » a cui venne prescelta spontaneamente da Ophüls, i film di Miranda si seguono in cadenza rapida e regolare, segnati tutti dalla medesima intensità di vita, dalla precisione nel tocco e nel dettaglio, che al profano sembra quasi ovvia e all’artista è costata tensione e passione.
Anche dopo il trionfo europeo di « Passaporto Rosso » Miranda non è ricorsa a mezzucci, a giri reclamistici. È rimasta l’attrice che sa « montarsi » venti volte a freddo, piuttosto che versare lacrime di glicerina, l’essere che paga il suo scotto alla necessaria insoddisfazione.
— « Per ogni film la mia gioia dura tre giorni… il tempo che mi occorre perché un personaggio entri in me e io cominci ad interrogarlo, a sentirlo, a costruirlo pezzo a pezzo. Quando me ne sono impossessata interamente non mi interessa più ».
Forse perché non necessitano più tensione e fatica. Isa Miranda è una volitiva, un motore in continua pressione, che impara in tre mesi il tedesco, che parla il francese con un certo fascino esotico, che oggi ribatte — that fearful english!!! — Ma sì! Credevate che Hollywood lasciasse sfuggire una simile tempra? (Con tutto il loro splendido isolazionismo, gli americani sono degli importatori: dal quadro alla musica; dal cantante alla diva, al romanziere; è sempre la vecchia Europa che ancora la rinsangua).
Chiediamo alla protagonista di « Nina Petrowna » se non teme l’ignoto che l’attende oltre Oceano.
— Terribilmente — risponde con gli occhi incupiti — qui ho trovato appoggi di maestri, di stampa, di pubblico, il caro pubblico che già mi vuol bene, laggiù… chissà…
Dubbio senza titubanze, e Miranda non cela un certo orgoglio comunicando subito che la Paramount, presso cui resterà per qualche anno, per poterla meglio studiare ha già fatto acquisto di tutti i films da lei eseguiti. Un bel numero: « Tenebre », « La Signora di Tutti », « Come le Foglie », « Passaporto Rosso », « Diario di una Donna Amata », « Una donna fra due mondi », « Sinfonie di Cuori », « Scipione l’Africano », « Il Fu Mattia Pascal », « Nina Petrowna »; alcuni dei quali la Miranda li ha recitati in doppia versione italiana-francese, e italiana-tedesca. Un crescendo di affermazioni, il cui ultimo film segnerà certamente un successo superbo. Basta a dedurlo l’esame delle fotografie, di una potenza d’espressione mirabile. Nella tragica scena della grande menzogna, quando Nina Petrowna, per salvare la vita dell’uomo che ama deve farsi da questi disprezzare, Isa Miranda ha dei passaggi di espressione d’una tale potenza che bastano da soli a classificarla: una grande artista che saprà tenere alto il nome d’Italia all’estero.
Lidya De Liguoro
Roma, Luglio 1937