“Assenza ingiustificata” rimarrà per i costumisti italiani il punto di paragone da cui rifuggire per giungere a risultati dignitosi. Certo, l’ideatore di quei vestiti intendeva porre in rilievo la doppia personalità della protagonista facendole indossare abiti che si differenziassero tra loro nella fattura e nello spirito. Ma i modelli coi quali si ornò Alida Valli signora, erano bizzarrie adatte tutt’al più per un ricevimento sulla luna. Il fatto è che quando si parla di abbigliamento è bene intendersi. Non si tratta soltanto di obbligare a salti mortali la fantasia inventando fogge nuove e mai viste: il lavoro del costumista cinematografico è assai più impegnativo. È sopratutto un lavoro di interpretazione, interpretazione dello spunto sul quale è imbastito il film e degli attori medesimi che in esso figureranno. Poiché è pacifico che non si può prescindere dalle caratteristiche fisiche e psicologiche di ciascuno di essi durante l’ideazione dei costumi.
Ma è anche un lavoro di fiancheggiamento dell’opera del regista. Lavoro che può e che deve ritenersi prezioso in quanto aiuta a ottenere quella ‘atmosfera che è il segreto primo della riuscita d’un film.
Abbiamo parlato a questo proposito con Gino Sensani e con il suo aiuto, signorina De Matteis. Dice Sensani:
« Allorchè m’accingo al iavoro, dipingo dei bozzetti d’insieme in cui il costume è appena abbozzato, è un’idea vaga, ha un valore puramente psicologico e non ancora documentario. In altri termini, mi preme raggiungere in quei bozzetti un clima, un mondo. In seguito passo ai particolari, cioè ai modelli, alle acconciature, ecc, I quali sono diversissimi da quelli accennati nel primo schizzo, ma realizzati, se la mia idea non è falsata, riportano all’idea dalla quale sono partito. S’intende che per seguire una tal linea di lavoro è necessaria una minuziosa preparazione che pochi forse immaginano. Non è senza ragione che io corro subito, non appena letto un soggetto del quale ho da fare i costumi, alla letteratura intorno all’epoca del racconto. Sembrerà strano, forse, ma di quella epoca io leggo anche i romanzi, perché qui più che altrove si trova lo spirito dei tempi, ed è a questo che m’ispiro. Naturalmente anche la pittura serve allo scopo, ma è necessario andar cauti. Ispirarsi a criteri pittorici è pericoloso, si può favorire la staticità mentre il cinema è movimento; per cui, quando osservo i personaggi d’un quadro, li faccio muovere idealmente cogliendo gli effetti che quel movimento mi suscita. Voi capite che il nostro lavoro non è, non deve essere un lavoro d’archeologia, l’immaginazione c’entra per qualche cosa e sbaglierebbe chi riproducesse costumi del passato in base a criteri fotografici. L’essenziale, a mio avviso, è non far sentire il costume, far sì che l’abito sia la buccia di quel personaggio in quell’ambiente ».
Sensani è senese, e questo spiega molte cose. Egli ha perfettamente ragione quando pone il problema sul piano culturale: è di qui che occorre prendere le mosse per la risoluzione di tutti i problemi. Invece molto spesso accade che i registi non siano in grado, non diciamo di giudicare storicamente, che sarebbe un pretendere troppo, ma nemmeno di apprezzare o condannare in base a criteri dettati dal semplice buon gusto. È capitato a noi di udire un regista dei più noti scambiare Rinascimento e Risorgimento.
« Altra questione importante », prosegue Sensani « è la collaborazione con l’architetto e l’arredatore. Per quanto ho detto poco fa, cioè per raggiungere un’atmosfera, è necessario l’accordo perfetto con lo scenografo e l’arredatore, Voi sapete che alla base dell’estetica cinematografica sta l’inquadratura; la quale ha sempre un valore intrinseco ma assai di più ne acquista nel film in costume dove l’atmosfera deriva appunto dall’armonia del costume con il mobilio, con le pareti di sfondo, con le prospettive. Per questo io penso che una tappa importante per il cinema sarà il giorno in cui scenografo, arredatore e costumista si decideranno a lavorare insieme ».
Sensani ci fa vedere i documenti del suo lavoro quotidiano… Vi sono bozzetti in gran numero, e poi studi d’acconciature, di altri oggetti personali; modelli, pochissimi.
« Sapete », conclude Sensani « l’abito come creazione a sé non mi interessa molto ».
Sembrerà strano, per un costumista, ma così dev’essere.
Michelangelo Antonioni
Roma, Aprile 1940