— Qui metterò a pregare l’Attavanti, in questa cappella sarà nascosto Angelotti, su questa impalcatura starà arrampicato Cavaradossi per dipingere quella lunetta… — annuncia Carlo Koch,
Siamo nel teatro dove in questi giorni si inizia, dopo un anno di preparativi e di rinvii, il film «Tosca» prodotto dalla Scalera, e diretto da Carlo Koch. Quante attrici sono state in predicato? Quanti provini sono stati fatti? Koch che, come compagno di Jean Renoir, ha lavorato alla «Tosca » per moltissimo tempo prima ancora di avere l’incarico della regia, cammina su è giù per la navata della chiesa di Sant’Andrea della Valle dove si svolgerà, non il primo atto, come s’avrebbe voglia di dire, ma una delle scene più importanti del dramma.
— E oggi ci siamo. Abbiamo lavorato e faticato come per la partenza di una spedizione… Pareva che le condizioni atmosferiche non fossero mai propizie. Ma adesso si parte… E si parte spronati dal desiderio di superare le difficoltà che oggi si son fatte anche più ardue. Una ve n’è, tra esse, di gravissima: questa «Tosca» vuol essere, anzitutto, un grande documentario di Roma, Ma come faremo ad inquadrare, per esempio, l’Arco di Tito che è in assetto di guerra? In compenso, però, abbiamo il cielo di settembre, il cielo più bello che un regista possa desiderare, limpido eppure mosso da qualche cirro, trasparente come non mai.
— Che cosa intendete dire per documentario di Roma?
— Vi dirò, in due parole, la la nostra «Tosca»: essa si inizierà con la ripresa, in campo lungo, del palcoscenico di un grande teatro lirico, con l’orchestra nella fossa e la soprano in scena, durante l’esecuzione di «Vissi d’arte». Portato, col concorso di una grande cantante lirica, questo doveroso omaggio a Puccini che ha reso la «Tosca» popolare in tutto il mondo, ci accingiamo a narrare cinematograficamente, modernamente, realisticamente, quella che fu la vera storia di Floria Tosca, e la narriamo senza retorica senza fioriture melodrammatiche, come un dramma poliziesco, nella cornice della sublime Roma di quell’epoca, ricostruendo ove non sarà possibile riprendere tutti gli ambienti dal vero,
— E il salone di Scarpia?
— Sarà identico a quello di Castel Sant’Angelo. Quando ci vedrete girare quelle sequenze, proverete un senso di tristezza perché tutta la scena sarà in bianco e in nero.
— E perché?
— Poichè il film è in bianco e nero, bastano al nostro scopo immense fotografie che riproducono al vero i diversi angoli del salone che dovranno essere ripresi.
— Ma anche qui, in chiesa, vediamo grandi fotografie.
— Naturalmente non potevo pretendere che pale d’altare di grandissimi pittori potessero essere rifatte qui. E così vi ho messo le fotografie. Il falso in questo film non deve esistere. Lo spettatore ha da avere, come vi ho detto, la sensazione di assistere ad un documentario di una tragedia celebre, non alla sua ricostruzione.
— Il realismo è, per voi, portato al parossismo…
— Certo. Vedete questo cancello della cappella Angelotti? È di ferro vero, come avremmo potuto pretendere dall’attore che deve aprire a fatica, tentando di farsi udire, i gesti e i rumori esatti se il cancellò fosse di legno?
— Vada per i gesti, ma per il suono non c’è modo, con la sincronizzazione, di sanare ogni pecca?
— No, assolutamente no.
E Koch a questo punto si calca in testa con più forza il berretto di tela bianca (strano, questa chiesa è così «vera» che fa un certo effetto vedere un uomo a capo coperto).
— Abbiamo toccato’ un tasto delicato, signor Koch?
— Sì, delicatissimo. Cavazzuti, ingegnere del suono, dovrà compiere miracoli come Arata che è il nostro operatore. Infatti, a mio avviso, la ripresa fotografica è curata da voi come in nessun’altra parte d’Europa, ma il sonoro lascia talvolta a desiderare: il doppiaggio vi riesce troppo bene, ve ne siete innamorati. Qui non una sola voce sarà doppiata, non un suono sarà sincronizzato. Tutto il film sarà in presa diretta. Dovremo purtroppo rinunciare a riprendere, a causa dei rumori moderni, alcuni esterni che avevamo scelto, ma il sonoro sarà impeccabile e trarremo da alcuni particolari sonori motivi molto importanti. Ve ne cito uno: durante il «Te Deum» in chiesa, entrerà Scarpia, seguito da Spoletta. Il suo ingresso, così importante ai fini drammatici della vicenda, sarà identificato, con lo sfondo del coro, dal rumore dei suoi speroni sul pavimento di armo. Un rumore secco, quasi cristallino, che dovrà rimanere impresso.
— Ma questo pavimento non è di marmo.
— Eccome se è di marmo! Provate a camminarci ma fate piano che, come tutti i pavimenti di marmo, è molto scivoloso. Vedete, sono grandi lastre di un preparato composto di polvere di marmo e il suono dei passi è uguale a quello dei passi sul marmo, Solo la Scalera coi suoi mezzi, poteva accontentarmi anche in questo particolare, ma è una spesa che sarà sempre utile aver fatto perché i lastroni potranno servire in altri film.
— E i costumi?
— Perfetti. Sono di Sensani.
— L’architetto chi è?
— È stato, nei primi tempi, Veniero Colasanti. Ma siccome noi tardavamo a «partire», ha dovuto rinunciare a portare a compimento la sua opera. L’autore di questi portenti è dunque, Gustavo Abel.
— Quali sono i vostri aiuti?
— Luchino Visconti e mia moglie.
A questo punto dobbiamo per un istante abbandonare l’argomento «Tosca» per ricordare che la signora Koch, nota come Lotte Reiniger, è autrice di almeno venticinque film in ombre cinesi. In Italia, però, non è conosciuto che il suo «Elisir d’amore» un gioiello di perfezione tecnica, di gusto e di fantasia.
— E gli attori?
— Imperio Argentina che è a Roma da qualche giorno e che, con la sua musicalità, sa impadronirsi delle lingue e parla l’italiano correntemente. Anche Michel Simon, Scarpia, ha questa mirabile dote e nemmeno lui avrà bisogno di essere doppiato; dirò anzi che, essendo il nostro Scarpia un generale svizzero delle guardie del Papa, un po’ d’accento non avrebbe affatto nociuto. Cavaradossi sarà il vostro amatissimo «divo» Rossano Brazzi. Ho, inoltre, un giovane attore sul quale conto molto: Rimoldi. Gli ho affidata la parte di Angelotti, l’amico di Cavaradossi fuggito dalla prigione, quello che è responsabile di rutto il dramma. È giovanissimo, non ha che venti o ventidue anni, ed è quasi sconosciuto, ma con tali qualità da poterlo liberamente avvicinare a certi divi americani. È un attore nato, entusiasta, innamorato della sua parte, del lavoro, e farà certamente una bellissima carriera.
— E chi sarà Ja Marchesa Attavanti?
— È l’unica parte ancora scoperta. Cerchiamo un’attrice molto bella una vera Maria Maddalena, di grande linea e di grande seduzione. La troveremo. Intanto, fra le donne, abbiamo un vero asso.
— Chi?
— Paola Borboni, nella parte della Regina, della sorella di Maria Antonietta. Il pittore che le fa il ritratto è Maldacea,
Carichi di notizie con le mìtite spuntate e il taccuino coperto di segni, ci avviamo verso l’uscita, salutando riconoscenti il regista Koch. Dobbiamo far largo a una fiumana di attori che esce dai camerini.
Sono gli interpreti di Lucrezia Borgia, appena struccati, che tornano in città. Tra questi Nerio Bernardi, appena liberato dalla corazza di Alfonso d’Este, si avvicina al nostro gruppo.
— Quando cominciamo, signor Koch? — chiede Bernardi,
La domanda ci stupisce. Ma Koch ha dimenticato di dirci che anche Nerio Bernardi è fra i suoi attori.
— No, non l’ha dimenticato, — risponde Bernardi, sorridendo. — Si diverte a fare l’incredulo perché non è convinto che io abbia chiesto sul serio di poter fare una particina di poche pose per il solo piacere di collaborare a una così bella opera cinematografica. Se oggi sono primo attore con la corazza di Alfonso d’Este, non v’è ragione che domani non possa essere quasi un generico nella persona del boia del Cavaradossi. È bello che gli attori italiani dimostrino ai registi stranieri di essere attori prima che divi.
Roma, settembre 1940