Essere pittore ed essere, nello stesso tempo, maledetto non è piacevole. Io conobbi una volta un ragioniere maledetto. Aveva un’apparenza del tutto innocua. Nessuno, vedendolo; avrebbe potuto immaginare che fosse maledetto, eppure lo era. Non solo: ma quasi ogni giorno questa piuttosto scomoda qualifica gli veniva confermata.
Ogni giorno, infatti, qualche impiegato si recava nel suo ufficio e, dopo averlo salutato affettuosamente diceva:
— Ragioniere, voi che siete così buono… Avrei bisogno di un anticipo, di un piccolo anticipo!
— Non si danno anticipi! — gridava allora il ragioniere. — Come debbo dirvelo che non si dannò anticipi? Via! Via tutti! Lo stipendio si prende alla fine del mese.
Gli impiegati chinavano umilmente la testa ed uscivano. Non appena fuori dalla porta, rialzavano il capo e sibilavano: « Ragioniere maledetto! ». Oppure: « Maledetto ragioniere! ».
Da quel che ho potuto capire dal film, il Caravaggio non si meritò la qualifica di « maledetto » per il fatto che rifiutava anticipi. Egli, anzi, era piuttosto prodigo e piuttosto incline a spendere sacchetti d’oro in orge e beveraggi quasi alcolici.
Ed allora perché « maledetto » ? Il film non ce lo spiega troppo bene. Il regista si è detto: « Io gli dò del maledetto: al pubblico poi il capirne le ragioni ». Anzi in un primo momento l’Elica Film aveva pensato di bandire un referendum tra gli spettatori, ma poi rammentando i dispiaceri che, proprio con un referendum, avevano passato i produttori di « Salomè », lasciarono andare.
Comunque i motivi della « maledizione » possono essere parecchi. Ragioniamo un po’.
Le sue pitture non piacciono ad un grande pittore, di cui non ricordo naturalmente il nome, e ai suoi seguaci. Era dunque il Caravaggio « maledetto » perché i suoi quadri non piacevano? Può essere, ma non mi sembra giusto. Se tutti i pittori, piccoli o grandi, dovessero definirsi « maledetti» per il solo fatto che i loro quadri, in un primo momento, non sono piaciuti, si starebbe freschi! Cominciamo a dire che tutti i pittori futuristi, cubisti, dadaisti, impressionisti, ecc., avrebbero diritto alla qualifica.
Tutti pittori maledetti. Invece, sono tutt’altro che maledetti perché, pur continuando a dipingere donne che sembrano legumi, case che sembrano broccoli, broccoli che sembrano case, riescono a vendere i loro quadri a qualche ente di buon cuore, il quale dopo di averli acquistati li conserva gelosamente in cantina per allietare, durante gli allarmi aerei, i rifugiati.
Non mi sembra perciò che le sventure artistiche siano un sufficiente motivo per qualificare « maledetto » il Caravaggio.
Forse era maledetto perché si ubbriacava? O forse perché in duello uccide il marito della donna amata; e indi muore, piuttosto malamente, in una specie di palude? Può essere. D’altra parte, un uomo non può definirsi « maledetto » solo perché dopo aver ucciso un altro uomo viene ricercato dalle guardie.
Comunque, tutte queste cose non ci riguardano. I produttori hanno detto che è maledetto? E basta. Che maledetto sia.
In fondo, però, la qualifica, malgrado la sua apparente catastroficità, non mi dispiace. Sarei quasi tentato di scrivere anch’io, sui miei biglietti di visita: « Osvaldo Scaccia, il critico maledetto ».
Son certo che più di una persona approverebbe con entusiasmo. Vittorio Metz, poi, mi invierebbe addirittura un telegramma di plauso. Ci penserò.
Ed ora voi volete che io esprima il solito parere tecnico sulla pellicola. Non ne ho punto voglia, ma purtroppo, siccome nella vita bisogna regolarmente fare tutte quelle cose che non abbiamo voglia di fare, lo esprimerò.
Senza alcun dubbio il « Caravaggio » è un film di primissimo ordine, sia per l’interpretazione di Amedeo Nazzari, sia per la felice ricostruzione storica, sia per la riuscita ambientazione. Goffredo Alessandrini ha fatto, insomma, una bella cosa. Vi sono scene bellissime, anche se volutamente pittoriche. Forse, qua e là il regista, si è lasciato un po’ troppo affascinare dai giuochi d’ombre, dai rilievi plastici, da un intento, direi quasi, pittorico, come se avesse voluto più che « girare », dipingere il film. E se ciò gli ha permesso di realizzare scene fotograficamente e artisticamente belle, gli ha impedito qualche volta di conservare alla vicenda il suo ritmo romanzesco e biograficamente avventuroso. Amedeo Nazzari ha fatto del Caravaggio una figura che è, direi quasi, indimenticabile. Egli ha saputo imprimere alla sua recitazione, di solito pacata ed equilibrata, un tono quasi epilettico, tutto scatti e ironia. È certo la migliore interpretazione di Nazzari: senz’alcun dubbio quella più spettacolare, che conferma in lui qualità di grandissimo attore e vigile maturità d’arte. Degli altri rammento il Gazzolo, bravo e misurato come sempre, la Calamai, graziosa e affascinante, Beatrice Mancini; il Crisman e il Picasso. Vorrei rammentarvi anche mia nonna. Ma a quale scopo, poi?
Osvaldo Scaccia
Roma, Febbraio 1941