Anna Magnani e Micia

Il tavolo d’angolo di un ristorante di via Borgognona, a Roma, vicino alla porta, è quasi sempre occupato da Anna Magnani, Rossellini e un gruppetto di amici. La lupa nera, Micia, se ne sta accovacciata tra le gambe della padrona in attesa che il proprietario del locale le porti la grossa ciottola di zuppa. Tempo fa, nacque fra i commensali una discussione abbastanza vivace intorno alle ultime produzioni della Magnani. Uno disse addirittura che ormai era ora di abbandonare le interpretazioni in serie e che doveva dedicarsi a pochi film con soggetti scelti molto scrupolosamente. Anche Rossellini era di questo parere.

Fecero i nomi di alcune pellicole poi si occuparono del dolce e del caffè. La facendo non morì lì. Da quel momento regista e attrice pensarono all’importanza di una simile osservazione e lasciarono che un comune amico predisponesse le cose in maniera di arrivare presto al sodo. Anna Magnani doveva tornare ai suoi personaggi popolari e staccarsi da quelle interpretazioni che l’avevano un po’ allontanata da chi in definitiva ne aveva creato il mito. In verità poche attrici hanno suscitato tanto interesse quanto questa estrosa e semplice figura di donna che recita e vive senza che alcuno riesca a cogliere nei suoi gesti e nelle sue espressioni un attimo di insincerità e di affettazione.

Bisognava perciò che tornasse sullo schermo alla stessa maniera di come era nata. I soggettisti di fiducia, Federico Fellini e Tullio Pinelli, furono incaricati di stendere la trama di una nuova pellicola. Dopo discussioni, sedute discretamente vivaci, opposizioni e decisioni rimandate, il film venne varato senza titolo. Fellini aveva proposto di intitolarlo La contessa di Montecristo ma Rossellini non fu d’accordo. Per accelerare i tempi e per restare fedeli agli impegni assunti in contratto, si stabilì di preparare subito la sceneggiatura e di rimandare il resto a lavorazione ultimata.

La trama è senza dubbio divertente e vivace. Un ricco e stravagante signore decide di suicidarsi gettandosi da una casa di Roma. Lascia scritto nel testamento che sarà erede della sua fortuna chi, per primo troverà il suo cadavere. I parenti si sparpagliano per la città in attesa del grande evento, ma la sorte di rinvenire il morto toccherà ad una popolana che nel giorno della “fortunata disgrazia” si trova sulla strada del cadavere. Il ricco morituro andrà addirittura a finire, precipitando da un settimo piano, sull’organetto di Barberia che la popolana trascina a fatica insieme al marito, paziente e rassegnato. Da quel momento la vita dei due logicamente cambia. Ma mentre il marito si accontenta di assaggiare le briciole del grande patrimonio e guarda con terrore le stravaganze della propria donna, la moglie è presa da una tale mania di grandezza che la rende estremamente ridicola. Ville, automobili di lunghezza spropositata, cani a decine, struzzi da condurre a passeggio per Via Veneto, amici e parassiti a nugoli, insieme a gioielli di favolosa bellezza. Non manca naturalmente l’amante che pur di sfruttare la situazione si sobbarca il peso, non indifferente, di portare in giro un simile tipo di maniaca. Ma questa fortuna è, come quasi tutti i colpi improvvisi del destino, una pentola del diavolo, senza coperchio e senza fondo. Solo il piccolo e paziente marito ha conservato un poco di senno e alla fine della vicenda sarà lui a riportare la moglie davanti alla realtà e alla miseria di una simile vita.

Il soggetto è stato approvato all’unanimità. Anna Magnani ha sentito il personaggio; Rossellini, che durante la lettura si arricciava la solita ciocca di capelli, ha messo subito in moto il suo cervello che è un vero fuoco d’artificio. Gli altri interpreti non sono stati ancora scelti, sembra che per molti si resti fedeli al principio di Rossellini: «i migliori attori sono quelli che davanti alla macchina da presa non hanno un passato da difendere». Nomi ne sono stati fatti molti, ma uno per uno venivano scartati tutti.

Le riunioni durante le quali avvengono queste discussioni durano talvolta fino alle tre del mattino. Quasi sempre nella camera all’Excelsior di Rossellini, che però è l’unico che se ne avvantaggia perché, soffrendo d’insonnia, riesce così a passare le ore più pesanti della notte.

Anna Magnani ci mette la sua parte ma con poca pazienza. A un certo punto stanca di tante chiacchiere prende al guinzaglio la lupa e se ne va a Villa Borghese. Gli altri, con gli occhi un po’ piccoli, ascoltano ma in cuor loro sognano distese sterminate di letti. Così pian piano il film va avanti con molta tranquillità, molto silenzio e con parecchi sbadigli. Rossellini è invece felice perché dai vetri della sua stanza vede lentamente spuntare un’altra alba.

Mario Mari

Roma, novembre 1948

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