Al Teatro delle Arti di Roma, dal 28 Maggio 1939.

A. G. Bragaglia che con tanta nobiltà, con tanta intelligenza d’arte e con tanta ostinazione contro inimicizie, diffidenze, ostacoli pratici di ogni genere, è riuscito con l’aiuto di Alessandro Pavolini, cultore d’arte, animatore fervidissimo e costruttore silenzioso, a dare al teatro nazionale il solo Istituto veramente significativo, continua da dire prova della sua sagace attività e della sua genialità di regista con allestimenti che, se invece che a Roma, fossero dati a Parigi, o a Londra, o a Mosca, susciterebbero fra noi la più grande meraviglia. La regia di Anna Christie per esempio, è un’opera d’arte in se stessa. Potrà essere discussa per certi ritmi troppo rallentati, per certe ricerche troppo scoperte dell’effetto, ma infine è regia, nel senso vero della parola, con tutto ciò che caratterizza e denuncia l’intervento di uno spirito unico e personale di interpretazione e concertazione.
Quanto all’opera, bisogna considerarla come una fase di trapasso nella formazione di quella strana personalità di scrittore che è Eugenio O’Neill, ormai famoso autore dello Strange Interlude. Non siamo più alla secchezza e a quella specie di brusco naturalismo dei “drammi marini”, ma non siamo ancora alla audace spiritualità dell’Interludio. In Anna Christie (che tutti ricordano per un famoso film che aveva a protagonisti Greta Garbo, Mary Dressler e Charles Bickford) gli elementi costitutivi dei drammi marini fanno da cornice a un primo tentativo di evasione spirituale dell’autore. Ne risulta una certa difformità che si avvicina alla letteratura, alla maniera. Ma gli attori di Bragaglia hanno saputo con uno sforzo d’arte commendevole, mascherare questo difetto, conferendo all’opera una unità che non ha. La Magnani ha recitato benissimo, con un impeto, una sincerità e una franchezza singolari. Tamberlani, che preferiamo in queste parti più vicine al vero, dove il suo spirito di osservazione umana e la sua intuizione possono esercitare su di lui un più diretto controllo, fece del suo personaggio un pezzo d’umanità vivo e commovente. In genere, tutti gli attori assolsero degnamente il loro compito e Bragaglia ne deve essere soddisfatto.
Gherardo Gherardi

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La prima rappresentazione di Anna Christie ha avuto luogo al Teatro delle Arti, davanti ad un imponente pubblico di splendidi cappellini, lucide teste calve e fluttuanti riccioli (maschili e femminili), che giustamente rappresentarono l’eleganza, il senso, il modernismo intellettuali. Solo un pubblico così delicatamente e profondamente borghese può, infatti, trarre dalla vista di un lavoro manieratamente marinaresco un piacere ostinato, laborioso, ed in un certo senso doloroso: perché in ciascuno è ben radicata la certezza di dover applaudire, con viva commozione, drammatici casi che, al contrario, non li interessano assolutamente. Mentre le loro aspirazioni sono rivolte alla Merlini, ai suoi bei vestiti ed alle sue graziette, s’impongono la necessità di gusti superiori, e gravemente parlano di drammi nudi, di passioni selvagge, e di primitive violenze.
Non conosciamo del resto retorica peggiore di questa, falsamente spoglia e brutale: anche se i veri protagonisti della vicenda dovrebbero essere il mare, la nebbia, l’odore di sale, che non risultano mai, e davvero una tendina di garza, nel fondo, ed alcune sirene di piroscafo, non bastano a creare atmosfere. Inoltre, c’era il precedente del film: quel vecchio Anna Christie, che per la prima volta vide Greta Garbo spoglia di frivoli ornamenti, ed in maglione turchino, bellissima: l’azione era continua, le tempeste si succedevano, grandi ondate soffocavano le grida di Greta (era uno dei primi parlati), e Maria Dressler, e tutti gli altri interpreti animavano, di misurati silenzi e di giusti discorsi, una storia variata anche nella sua monotonia nebbiosa. Qui non succede mai niente, ed i tre eroi elementari discorrono dal principio alla fine, senza lasciare mai un certo diapason alto e stridulo, fastidiosissimo: e poi, ciascuno si ricorda troppo dei suoi predecessori cinematografici. Perché la signorina Magnani, che per conto suo ha una bella voce viva, prova a tratti il bisogno di imitare la signorina Garbo, e lo fa con violenza e quasi l’ironia dei giovanotti di paese, che per burla chiedono dammi una sigaretta, in tono di basso profondo? Noi siamo certi delle possibilità di questa giovane attrice: e tanto più ci rincresce vederla, come ieri sera, in un’interpretazione-mosaico dove non Greta soltanto, ma Anna Stern, ma Marlene, ma Joan Crawford, ed in generale tutte le Stelle di qualche successo, affioravano bruscamente.
L’attore Besesti, che figurava nella parte del padre di Anna, ha una vocazione per il gran dramma ottocentesco, quale La Gerla di Papà Martin, ed un talento lacrimoso lo spinge a piangere dall’inizio alla fine della serata: poiché O’Neill voleva far di lui un malvagio ipocrita, raramente toccato da un sentimento sincero, e Besesti vuol essere assolutamente il contrario, ne vien fuori un personaggio misterioso e sconcertante quanto un ermafrodito. Il signor Tamberlani, invece, ci piacque molto, e ci auguriamo solo di poterlo vedere in un ruolo diverso, per poter misurare le sue vere forze.
Le scene, gradevoli, furono un nuovo omaggio alla mentalità borghese degli spettatori: così la traduzione del dramma fu improntata a sentimenti cordiali, ed i ricordi salgariani di ciascuno rifiorirono davanti a tanti boccaporti, poppavia, trinchetto e cinque tocchi. Le maledizioni, le benedizioni, i giuramenti, non si contavano più, e mai si fece tanto invano il nome di Dio, mentre una lieve smussatura di quest’apocalittica eloquenza avrebbe certo fatto piacere a tutti quanti. Ma il diavolo fu invocato ancora più spesso, questo vecchio diavolo del mare, anzi: e, poiché noi siamo superstiziosi, siamo quasi certi di aver veduto all’uscita, stormi di diavoletti, in misure varie, aggirarsi beffardi tra i pacifici tetti di Via Sicilia.
Irene Brin 

(testi archivio in penombra)

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